MARTEDÌ 23 febbraio DELLA I SETTIMANA DI QUARESIMA – Beata Giovannina Franchi, Fondatrice – PRIMA LETTURA Is 55,10-11; – Sal 33 (34) – VANGELO Mt 6,7-15
Riflessione quotidiana al Vangelo per camminare in Cristo: <Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate>.
Matteo inserisce la preghiera del Padre nostro nella magnifica cornice del ‘Discorso della Montagna’ per opporre l’agire cristiano a quello degli ipocriti (Mt 6,9-13). Oltre a chiedere che sia santificato il nome del Padre, il discepolo deve chiedere il pane quotidiano. Praticamente deve imparare a chiedere al Padre quanto è necessario per la sua sussistenza. Inoltre, il discepolo, deve chiedere che gli siano rimessi i debiti. I discepoli che anelano al perdono di Dio, devono perdonarsi a vicenda (cfr. Mt 5,39; 6,12; 7,2; 2Cor 2,7; Ef 4,32; Col 3,13) e devono perdonare il prossimo senza mai stancarsi: fino a settanta volte sette (cfr. Mt 18,22). Chi non vuole perdonare non può pretendere di ricevere il perdono di Dio: se «vogliamo essere giudicati benignamente, anche noi dobbiamo mostrarci benigni verso coloro che ci hanno arrecato qualche offesa. Infatti ci sarà perdonato nella misura in cui avremo perdonato loro, qualunque cattiveria ci abbiano fatto» (Giovanni Cassano). Con l’ultima petizione il discepolo chiede di non essere abbandonato alla tentazione. Una supplica che nasce dalla consapevolezza della propria debolezza dinanzi alla prepotenza e all’astuzia di Satana, il Tentatore per antonomasia: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26,41).
Non abbandonarci alla tentazione – Papa Francesco (Udienza Generale 1 Maggio 2019): Se siamo tentati di compiere il male, negando la fraternità con gli altri e desiderando un potere assoluto su tutto e tutti, Gesù ha già combattuto per noi questa tentazione: lo attestano le prime pagine dei Vangeli. Subito dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni, in mezzo alla folla dei peccatori, Gesù si ritira nel deserto e viene tentato da Satana. Incomincia così la vita pubblica di Gesù, con la tentazione che viene da Satana. Satana era presente. Tanta gente dice: “Ma perché parlare del diavolo che è una cosa antica? Il diavolo non esiste”. Ma guarda che cosa ti insegna il Vangelo: Gesù si è confrontato con il diavolo, è stato tentato da Satana. Ma Gesù respinge ogni tentazione ed esce vittorioso. Il Vangelo di Matteo ha una nota interessante che chiude il duello tra Gesù e il Nemico: «Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (4,11).
Ma anche nel tempo della prova suprema Dio non ci lascia soli. Quando Gesù si ritira a pregare nel Getsemani, il suo cuore viene invaso da un’angoscia indicibile – così dice ai discepoli – ed Egli sperimenta la solitudine e l’abbandono. Solo, con la responsabilità di tutti i peccati del mondo sulle spalle; solo, con un’angoscia indicibile. La prova è tanto lacerante che capita qualcosa di inaspettato. Gesù non mendica mai amore per sé stesso, eppure in quella notte sente la sua anima triste fino alla morte, e allora chiede la vicinanza dei suoi amici: «Restate qui e vegliate con me!» (Mt 26,38). Come sappiamo, i discepoli, appesantiti da un torpore causato dalla paura, si addormentarono. Nel tempo dell’agonia, Dio chiede all’uomo di non abbandonarlo, e l’uomo invece dorme. Nel tempo in cui l’uomo conosce la sua prova, Dio invece veglia. Nei momenti più brutti della nostra vita, nei momenti più sofferenti, nei momenti più angoscianti, Dio veglia con noi, Dio lotta con noi, è sempre vicino a noi. Perché? Perché è Padre. Così abbiamo incominciato la preghiera: “Padre nostro”. E un padre non abbandona i suoi figli. Quella notte di dolore di Gesù, di lotta sono l’ultimo sigillo dell’Incarnazione: Dio scende a trovarci nei nostri abissi e nei travagli che costellano la storia.
È il nostro conforto nell’ora della prova: sapere che quella valle, da quando Gesù l’ha attraversata, non è più desolata, ma è benedetta dalla presenza del Figlio di Dio. Lui non ci abbandonerà mai!
fonte – sintesi da: http://radici3.blogspot.com/2021/01/
Beata Giovannina Franchi
Nacque a Como in una famiglia dell’aristocrazia, suo padre era magistrato di corte del regno longobardo del Veneto. Nel 1814, come era consuetudine dell’epoca, entrò nel monastero di S. Carlo delle Visitandine di Como e lì svolse la sua formazione intellettuale e sociale. Nel monastero, da cui non potette partire per dieci anni, conobbe la spiritualità del fondatore San Francesco di Sales, e il suo progetto (non portato a termine) di fondare una famiglia religiosa, senza chiusura, dedita alla cura dei malati a casa e per il sollievo di tutti i tipi di malattie.
A 18 anni tornò alla casa dei genitori e si è dedicato all’insegnamento del catechismo nella sua parrocchia e partecipò a diverse associazioni cattoliche dedite alle opere caritatevoli, mostrando sempre grande attenzione alle esigenze degli altri. Ricevette una proposta di matrimonio da un uomo molto più grande di lei, accettò, perché quella era la strada che ogni donna, del suo status sociale, seguiva nella vita, ma il suo fidanzato morì di malattia. Dopo questo breve corteggiamento, nel 1846, quando Giovannina aveva 33 anni, decise di consacrarsi totalmente a Cristo.
Il suo direttore spirituale, il canonico Giovanni Crotti, la incoraggiò a dare un nuovo senso alla sua vita e così, nel 1853, dopo la morte dei suoi genitori e l’eredità di un immenso patrimonio, iniziò il suo percorso di totale dedizione ai malati che soffrono.
Giovannina si spogliò delle sue ricchezze lasciandole a disposizione dei più bisognosi e con altre tre compagne fondò la Pia Unione delle Sorelle Infermiere della Carità e che oggi è la Congregazione del Sorelle infermiere della Dolorosa. Aprì in via Vitani, in uno dei quartieri più poveri di Como, la prima casa di cura per malati e convalescenti, e fornì anche assistenza domiciliare a chi non poteva essere accolto nel sanatorio cittadino.
Per concessione di Pio IX avevano il permesso di avere un oratorio privato. Si recarono nei luoghi più disagiati di Como per portare aiuto ai malati nelle loro case, affrontando con coraggio ogni difficoltà. Ripongono la loro fiducia nella protezione della Vergine Addolorata.
Nella Pasqua del 1858, Giovannina Franchi, sarebbe stata la prima tra le sue sorelle a indossare l’abito religioso della Pia Unione, secondo il progetto di San Francesco di Sales, per i Salesiani assistevano i malati a casa e le donne nel carcere di San Donnino. La Beata compose per le sue sorelle “Il Metodo di Vita”, approvato nel 1862 dal Vescovo di Como. Tutto il suo carisma può essere riassunto in una delle sue espressioni: “La carità verso il prossimo sia nelle Suore un amore universale che abbraccia tutti il Signore e non escludere nessuno” (“Metodo di vita”, n. 1).
Un’epidemia di vaiolo nero colpì i comaschi, e in quei momenti le suore furono esempi viventi di amore e di esemplare pietà evangelica. Questa immolazione della sua stessa vita per amore dei malati e dei diseredati portò la fatale conseguenza che Giovannina fu infettata dal vaiolo quando visitò un malato a casa, e per questo morì all’età di 64 anni il 23 febbraio 1872.
Nel biglietto che le suore scrissero informando della sua morte si legge: “Oggi, 23 febbraio, cade un seme che è stato il sostegno di tutte noi e di tutti i poveri della città”. È stata beatificata il 20 settembre 2014 a Como, durante il pontificato Papa Francesco.
fonte: www.santodelgiorno.it